Fonte d’ispirazione

Ritengo che la curiosità e l’attrazione per la natura siano state la mia principale spinta e fonte d’ispirazione. Pensare che il mondo è vasto e variegatissimo, che frequentare solo luoghi e persone che si conoscono diventa riduttivo, che il proprio bagaglio personale non può che essere arricchito dalla conoscenza, che il tempo davanti a sè non è infinito… Ho sempre avuto una fortissima attrazione per la natura fin da piccolo, e per quanto la natura riesce ad offrire e come riesca sempre a sorprenderci. E’ probabile che ci sia anche un desiderio di estraniarsi da una vita professionale estremamente piena e sempre in contatto con persone e con problematiche, spesso, assai gravi.
Negli anni giovanili la passione per la montagna e per le esplorazioni si è sviluppata anche attraverso la lettura di libri e reportage di personaggi quali Fosco Maraini, Padre Alberto Maria De Agostini, Walter Bonatti e, in anni successivi, Reinhold Messner. Di Walter Bonatti, grande alpinista, ricordo di aver vissuto con emozione tutte le sue grandi arrampicate, a partire dall’illuminante vicenda del K2, fino alla sua ultima impresa sulla nord del Cervino, e poi, grande esploratore, i servizi meravigliosi pubblicati mensilmente da Epoca. E le lettura dei libri di Verne, su tutti Viaggio al Centro della Terra (e da lì la curiosità per l’Islanda) e Ventimila Leghe Sotto i Mari e le avventure del Capitano Nemo, e l’incontro da bambino con il Capitano William Anderson, comandante del Nautilus il primo sommergile a energia nucleare che nel 1958 navigò sotto la calotta del Polo Nord.
Penso che queste, oltre alla storia famigliare, siano state negli anni le spinte a viaggiare e a vedere/scoprire. Credo infatti che le più grandi emozioni siano venute dalla natura. Penso tra tanti ricordi ad albe e tramanti a Zabriskie Point, alla Monument Valley, all’Alaska Highway, alle Ande, al Salar di Uyuni in Bolivia, all’Islanda, ai tanti deserti – di sabbia, di pietra, di lava – visitati agli spazi infiniti dell’Africa… E nella natura, persone e animali nel loro habitat naturale: le donne in Perù e Bolivia negli abiti tradizionali, i mercati di Chichicastenango (Guatemala), Otavalo (Ecuador), ecc, l’opera di Pechino nel 1985, gli orsi in Alaska, gli animali in Kenya e Namibia, l’unicità di fauna e flora alle isole Galapagos, balene, condor, aquile, coyote, jene,…
E da qui la fotografia, strumento unico per non dimenticare. Quante volte rivedendo le immagini di un viaggio ritornano alla mente luoghi, colori, situazioni dimenticate? E la fotografia è diventata una spinta e un mezzo per apprezzare ancor più i dettagli, ricercare la luce migliore, aspettare con pazienza il momento migliore, non perdersi albe e tramonti indimenticabili. E talvolta si traduce un documento di un mondo che non c’è più, come è stata la Cina del 1985.
Nel ringraziare Dacia Maraini – viaggiatrice lei e figlia di Fosco Maraini, esploratore, fotografo, orientalista – che aveva scritto la prefazione a Deserti/Deserts, ricordavo una sua frase in cui diceva “Il primo sapore che ho conosciuto, e di cui conservo memoria, è il sapore del viaggio”.